Durante le campagne di scavo effettuate nel sito di Aiano-Torraccia di Chiusi sono state rinvenute circa 200 monete. La grande maggioranza di esse sono databili al IV e V secolo d.C. e sono riferibili a momenti di utilizzo della villa. L’esemplare più antico è un sestante fuso di zecca umbra incerta, recante su di un lato l’immagine della clava e datato tra il 225 ed il 213 a.C., mentre la moneta più recente è un denaro della zecca di Pisa della prima metà del Duecento, emesso a nome dell’imperatore Federico I Barbarossa (1155-1190). Nel caso del sestante umbro si tratta verosimilmente di un reperto residuale, da mettere forse in relazione con una delle molteplici attività produttive impiantate nella villa tra V e VII secolo d.C. Anche un asse romano d’età repubblicana recuperato in US 4044, potrebbe essere residuale. Spezzato a metà in antico, esso risulta completamente consunto e illeggibile ma per il peso è attribuibile alla fase della riforma onciale (post 217 a.C.).
La moneta di XIII secolo di zecca pisana è stata recuperata nel ‘vano L’ in stratigrafia (US 2506). Si tratta di un reperto oltremodo tardo, la cui presenza in strato è stata causata da motivi che nella fase attuale di studio tuttavia ancora sfuggono.
Gran parte delle monete ritrovate si trovano in cattivo stato di conservazione o presentano pesanti incrostazioni che ne pregiudicano fortemente una lettura precisa e puntuale. Per tale motivo per di molte di esse si può al momento solo indicare una forchetta cronologica di massima. Per tutte sarebbe auspicale un restauro che ne aumenti la leggibilità, ma al momento la mancanza di fondi disponibili non lo consente.
Si segnalano alcuni sesterzi ed assi di I-III secolo d.C. (Augusto, Vespasiano o Tito, Marco Aurelio, Commodo, forse Filippo l’Arabo), ma in questa fase di studio non è chiaro se si tratti anche in questo caso di monete residuali o se si debbano effettivamente attribuire a fasi di vita della villa. Si distinguono inoltre diversi esemplari a nome di alcuni membri della famiglia di Costantino I il Grande (306-337), quali Costantino II Cesare e Giuliano l’Apostata, mentre altri pezzi, per la loro mediocre conservazione, si possono assegnare solo in modo molto impreciso a ‘Costantinidi’ non altrimenti precisabili.
Altre monete sono a nome di Valentiniano I (375-392), Teodosio I (379-95), Magno Massimo (383-388).
Tra gli esemplari di IV secolo molti presentano mancanze del tondello o dei bordi che solo in alcuni casi si possono imputare alla corrosione causata dal terreno. Per diverse monete si è sicuramente in presenza di riduzioni non casuali, effettuate volutamente mediante tosatura o altre operazioni meccaniche di asportazione di parti del tondello stesso. Questo fatto denuncia un loro adeguamento a standard ponderali e metrologici differenti e più bassi rispetto a quelli in vigore nel momento in cui furono emesse e ne indica quindi un uso prolungato, protrattosi almeno fino a V secolo inoltrato se non oltre.
Alcune delle monete recuperate sono sicuramente riconducibili a zecche non ufficiali, mentre per altre permangono forti dubbi. Se questo dato fosse confermato sarebbe attestata anche per Aiano-Torraccia la circolazione, nel V e forse nel VI secolo, di numerario di tipo imitativo non ufficiale, già documento per altre aree della Toscana (cfr. Asolati 2005 e Id. 2006, con bibl. prec.).
Le UUSS 5005, 5013 e 5101 hanno infine restituito alcune monete d’età ostrogota. Si tratta rispettivamente di un minimus da 2 o da 2 ½ nummi della zecca di Ticinum attribuibile al re Baduila (541-552), di un quarto di siliqua di re Atalarico (526-534) emesso a nome dell’imperatore Giustiniano I (527-534) e di una moneta da 10 nummi di re Vitige (536-539). Queste due ultime monete furono coniate nella zecca di Ravenna.
Marco Bazzini (Responsabile dello studio del materiale numismatico)
Bibliografia citata :
Asolati M. 2005, Il tesoro di Falerii Novi. Nuovi contributi sulla monetazione italica in bronzo degli anni di Ricimero (457-472 d. C.), Esedra Editrice, Villorba.
Asolati M. 2006, Il ripostiglio di Camporegio (Grosseto).Note sulle imitazioni bronzee di V sec. d.C. e sulla questione della cosiddetta “moneta in rame nell’Italia longobarda”, «RIN» 107, pp. 113-61.
Baldassarri M. 2010, Zecca e monete del Comune di Pisa. Dalle origini alla Seconda Repubblica. XII secolo-1406 (vol. 1), Felici Editore, Ghezzano.
Kent, J. P. C. 1981, The Roman imperial coinage, Volume VIII, The family of Constantine 1., A.D. 337-364, Spink & Son Ltd., London.
Mattingly H., Sydenham E. A. 1930, The Roman imperial coinage, Volume III, Antoninus Pius to Commodus, Spink & Son Ltd., London.
Metlich M.A. 2004, The coinage of ostrogothic Italy, Spink & Son Ltd., London.
Thurlow B.K., Vecchi I.G. 1979, Italian Cast Coinage, V.C. Vecchi & Sons and B. & H. Kreindler, Dorchester.
Lavorazione del ferro
Vari materiali riferibili a resti di origine pirotecnologica molto abbondanti sono stati recuperati da strati carboniosi delle UU.SS.MM. 2505 e 2214. Si tratta con tutta probabilità dell'area in cui residui di lavorazione provenienti dalle varie officine stanziate nel sito in periodo tardo antico venivano scaricati. Nelle falde di scarico si sono riconosciuti materiali combusti ed alterati dal calore, frammisti a scorie di lavorazione del ferro con la caratteristica forma a calotta ed a frammenti, anche di notevole misura, riferibili a forge, più volte eliminate perché rovinate dall'uso e ricostruite con nuovi materiali.
Tutti i resti di lavorazione del ferro sono scorie di forgia, scagli di martellatura e frammenti di forgia, nessuno è riconducibile ad una fase di riduzione di minerali di ferro. Nella maggior parte dei casi si tratta di scorie a calotta, prodotte dal fabbro ferraio durante la lavorazione di barre di ferro grezzo, di semilavorati oppure dal riciclaggio di manufatti in ferro rotti o scartati, mentre le scaglie di martellatura esaminate sembrano provenire dalla rielaborazione di barre o oggetti in ferro riscaldati sulla forgia fino al calore bianco, e cosparsi di silicati per impedire l'ossidazione superficiale durante la lavorazione.
Lavorazione del rame
Oltre ai residui di lavorazione del ferro si riconoscono anche grumi molto friabili, verde chiaro e relativamente leggeri, di struttura non omogenea, riferibili alla lavorazione di leghe a base di rame.
Le analisi qualitative condotte su questi residui hanno infatti identificato rame, percentuali relativamente alte di ferro, dovute a contaminazione, e tracce di altri elementi, come stagno, piombo e zinco. I resti provengono dunque dal processo di produzione di oggetti in leghe a base di rame, e si sono formati “schiumando via” dal crogiolo lo strato superiore di metallo ossidato e impurità prima di versare la lega allo stato fuso in una matrice. Un'analisi più precisa del materiale non è possibile, a causa della sua struttura disomogenea e dei resti di terriccio incorporati nelle scorie di lavorazione ancora allo stato liquido, quando sono state schizzate sul terreno per eliminare le impurità dal crogiolo.
Nel vano A sono state individuate le strutture per il recupero e riuso di tessere da mosaico in vetro. I In una fossa sono state recuperate circa 6000 tessere in vetro, parzialmente alterate dal calore e frammiste a carbonella e a frammenti di cemento. Qui le tessere staccate dal loro supporto in altre aree della villa venivano bruciate per liberarle dai residui del cemento che le fissava alla parete. Una vasca posta nell'angolo SW dello stesso ambiente serviva certamente al successivo lavaggio delle tessere per liberarle completamente dai resti del cemento prima di rifonderle. Una tegola romana rinvenuta ancora appoggiata alla parete della vasca serviva da piano di lavaggio. L'ipotesi dell'attività di riciclaggio del vetro è stata pienamente confermata nel corso dello scavo 2008, con la scoperta nel vestibolo d’accesso alla sala triabsidata, di una fornace per la lavorazione del vetro, con le ceneri ancora nel suo interno e la sua copertura, crollata, ma completa e ancora in situ.
Alessandra Giumlia-Mair (AGM Archeonanalisi, Merano (BZ))
La villa di Aiano-Torraccia di Chiusi presentava, almeno nella sua fase monumentale, un’ampia decorazione marmorea, sia parietale che pavimentale, di cui sono stati ritrovati, ad oggi, oltre 600 frammenti. Lo studio dei tipi litici dei marmi e della loro provenienza è tuttora in corso, ma dai risultati in itinere si possono desumere già alcuni dati importanti.
Si tratta in percentuale abbondante di marmi bianchi di varia provenienza e diversa granulazione, ma anche di marmi colorati (nell’accezione di “poikiloi lithoi”) provenienti da tutta l’area del Mediterraneo e, in alcuni casi, molto rari e/o molto costosi (figg.1-2), anche in frammenti di dimensioni notevolmente grandi.
Ci sono testimonianze, inoltre, di frammenti di decorazione architettonica, come uno zoccolo con modanature (fig.3), o alcune lesene scanalate, in marmo bianco. Ancora in marmo bianco, inoltre, si trovano frammenti di decorazione figurata in bassorilievo.
Nell’ultimo periodo della struttura buona parte del marmo venne privato delle decorazioni figurate, frammentato e calcinato: la prova di questo tipo di lavorazione si ha sia nel ritrovamento di parti con decorazione asportata tramite l’uso di scalpello, sia nella presenza di frammenti calcinati, sia nella scoperta di due porzioni di marmo contigue provenienti da due aree fisicamente ben distinte del sito, scavate in campagne diverse.
Sara Lenzi (dottoranda in archeologia, Università di Firenze)
Una parte dei reperti vitrei della villa di Aiano-Torraccia di Chiusi consiste in oggetti di uso domestico come bicchieri e calici, ottenuti con la tecnica della soffiatura: si insufflava aria con un tubo di ferro, detto “ canna”, in una una porzione di vetro fuso fino a ottenere una forma di base cava delle dimensioni desiderate. Elementi come il piede per i calici erano invece realizzati utilizzando masse vetrose più piccole saldate successivamente al corpo centrale.
In quantità più consistente troviamo elementi riconducibili a frammenti di decorazioni che dovevano abbellire le pareti interne della villa nella sue diverse fasi di vita (IV-V sec. d.C.), come tessere musive e sectilia, sottili lastre di vetro sia monocrome che policrome, che dovevano imitare le tarsie parietali in marmo: venivano realizzati tramite la colatura del vetro fuso su una superficie piana, ottenendo una lastra che veniva tagliata a seconda delle necessità d’impiego dopo un lento raffreddamento. Sono stati ritrovati anche alcuni frammenti di vetro da finestra.
Gli artigiani installatisi nelle strutture di abbandono della villa intorno al VI secolo d. C. avevano riorganizzato gli ambienti in zone produttive nelle quali è possibile ricostruire l a catena operativa del vetro: si partiva dall’accumulo localizzato dei frammenti delle decorazioni parietali e delle suppellettili da mensa per poi passare alla rifusione in una fornace ( presso la quale sono anche stati ritrovati alcuni scarti di lavorazione), per avere nuovo vetro fuso dalla cui colatura si otteneva dei vaghi di collana.
L’uso di riciclare il vetro era pratica già nota fin dalla prima età imperiale: degli addetti giravano per le strade per raccogliere i vetri rotti da destinare alle officine vetrarie. Lo studio di questi reperti ci parla quindi dei vari momenti di vita di questa villa, prima abitazione privata e poi zona produttiva in seguito all’abbandono da parte di chi vi abitava: i sectilia in particolare sono la testimonianza della varietà e della ricchezza della decorazioni che abbellivano la villa, della disponibilità economica del suo proprietario e del livello tecnico di coloro che erano stati incaricati di realizzarle. I vetri da mensa ci parlano invece della semplicità della vita quotidiana.
Se un fenomeno caratteristico dell’epoca Tardoantica e Alto Medievale come lo spoglio e il reimpiego dei materiali architettonici e decorativi ha determinato il colpo di grazia per il degrado strutturale della villa, è stato anche l’impulso primo per una nuova e diversa fase di frequentazione di questi spazi legata all’attività artigianale, che non è da escludere fosse coinvolta in ampio circuito di scambi commerciali lungo la Val d’Elsa.
Federica Salvucci (archeologa, Università di Firenze)
Le ricognizioni effettuate nel corso dell’ultimo trentennio del XX secolo avevano evidenziato la presenza di reperti di periodo tardo-etrusco recuperati assieme a quelli di età romana ed alto medievale, particolarmente importanti per la possibilità di delineare lo sviluppo di una fattoria rurale tra l’età ellenistica e la tarda antichità. Tuttavia, fin dalle prime indagini basate sui dati di scavo, è apparso evidente come i materiali di età pre-romana, sia di età etrusca che protostorica, si trovino in sequenze stratigrafiche diverse e con evidenti differenze dal punto di vista della giacitura: infatti se i frammenti ceramici riferibili genericamente all’età del Bronzo, molto frammentari e dalle superfici dilavate, si trovano soltanto negli strati argillosi tagliati per la realizzazione dei cavi di fondazione dei muri della villa, al contrario gli oggetti di età etrusca sono presenti in quantità abbondante nei livelli di deposito relativi alla fase produttiva alto medievale e si caratterizzano per un eccellente stato di conservazione.
L’evidenza stratigrafica suggerisce quindi di non interpretare allo stesso modo tali ritrovamenti semplicisticamente sotto la categoria di materiali pre-romani: infatti se le fasi protostoriche testimoniano una effettiva presenza – ancora da definire - nell’area su cui sorgerà la villa, al contrario gli oggetti etruschi sembrano costituire delle intrusioni, trasportati là da altre zone dove erano originariamente collocati. Poiché si trovano tra gli scarti e sappiamo che la villa, nella fase finale di frequentazione, fu utilizzata come sede di ateliers produttivi che riciclavano materiale, è probabile che tali oggetti rappresentino ciò che resta di un più consistente quantitativo di suppellettile trovata in tombe vicine e qui portata per essere riciclata.
Ad una analisi approfondita, infatti, il materiale recuperato è piuttosto eterogeneo: si trovano vasi a vernice nera della fabbrica di Malacena (fine IV secolo a.C.) e ceramica da fuoco di età arcaica, una kelebe quasi integra attribuibile al Pittore della Monaca (prima metà III secolo a.C), ma anche significativi oggetti di bronzo, come il terminale di un ago crinale conformato a ruota ad otto raggi (VIII-VII secolo a.C.), una fibula ad arco semplice e staffa laminata (fine VII - prima metà VI secolo a.C.) oltre ad un interessantissimo sestante della serie ovale con clava, di zecca umbra o volsiniese (III secolo a.C.).
Giacomo e Sofia Baldini (Direttori tecnici dello scavo di Torraccia di Chiusi)