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Residui di lavorazione del ferro

Nessuna delle scorie ferrose esaminate ad Aiano-Torraccia di Chiusi può essere riconducibile ad una fase di riduzione di minerali di ferro, ma si tratta invece in tutti i casi di  scorie a calotta, derivanti dalla lavorazione su forgia, scaglie di martellatura e altri resti riferibili a strutture alterate dal calore, ad esempio rivestimenti di forge.

Le analisi condotte su circa 200 campioni di scorie di lavorazione hanno permesso di individuare i materiali elaborati da cui derivano le scorie a calotta. Nella maggior parte dei casi sembra trattarsi di elaborazione di manufatti, spesso riciclando probabilmente ferro proveniente da rottami. Non sono invece molti i frammenti interpretabili come scorie di purificazione, raffinazione e compattamento che potrebbero indicare l'elaborazione di ferro grezzo o di barre di ferro semilavorato.

Le scaglie di martellatura esaminate sembrano provenire dalla rielaborazione di oggetti in ferro riscaldati sulla forgia fino al calore bianco, e cosparsi di silicati per impedire l'ossidazione superficiale durante la lavorazione. All'interno di alcune erano infatti ancora riconoscibili i cristalli quarzosi della sabbia pulita impiegata come fluidificante durante la lavorazione. Solo alcuni frammenti non integri contenevano ossidi di ferro più abbondanti ed erano con tutta probabilità riferibili alla rielaborazione o riparazione di oggetti in ferro. I cristalli di sabbia all'interno delle scaglie sembrano simili a quelli del letto di sabbia nel vano B.

Manufatti in ferro

L'esame dei campanacci in ferro ha mostrato che erano stati rifiniti con cura ed elaborati con perizia. Il materiale è semplice ferro dolce, malleabile e con un basso contenuto di carbonio e la struttura metallografica è fortemente corrosa. Campanacci molto simili per forma, lavorazione e materiale sono stati rinvenuti in Ungheria nella zona occupata da tribù di origine germanica, come i Longobardi, i Gepidi ed i Goti, nel periodo di dominazione unna. I campanacci rinvenuti in Ungheria sono stati ipoteticamente attribuiti agli unni, ma è risaputo che la classe guerriera “unna” era in realtà estremamente eterogenea e comprendeva molte etnie e tribù di varie origini.

La notevole somiglianza con i manufatti ungheresi suggerisce che questi oggetti siano da attribuire alla tradizione di tribù germaniche. La manifattura delle sottili barrette in ferro, rinvenute sul letto di sabbia all'interno del vano B  sembra indicare una produzione specializzata e di alta qualità.

Alcuni grandi chiodi di misure diverse, possibilmente da carpentiere, sono stati esaminati in dettaglio. La loro sezione ha mostrato che la struttura, ora fortemente corrosa, contiene un'alta percentuale (intorno al 15-20%) di scorie silicatiche in forma di fibre allungate. Ciò dimostra che per la manifattura dei chiodi è stato impiegato un ferro sommariamente purificato, forgiato e ripiegato su se stesso più volte, in modo da ottenere inclusioni lungo tutta la struttura del fusto per renderli più duri e resistenti alla corrosione. Non è tuttavia possibile datare i chiodi  in base al tipo di lavorazione ed è possibile che risalgano al periodo romano.

Tessere di mosaico dorate 

Le numerosissime tessere di mosaico in vetro colorato, certamente di periodo romano, sono state rifuse e impiegate per confezionare vaghi di collana multicolori, per lo più con un'addizione di sali di piombo per abbassare la temperatura di fusione e rendere il vetro più fluido. Oltre alle tessere di mosaico in vetro colorato e a vari frammenti di vetro di vario tipo (v. anche il materiale: il vetro) sono state recuperate anche tessere dorate con foglia d'oro, ma soprattutto  un gran numero di supporti di tessere con foglia d'oro evidentemente scartati. Questo fatto, assieme ad un “lingotto” di piombo, di un tipo fino ad ora senza confronti, ma contenente notevoli tenori d'oro (2,3%), sembrano indicare che le cartelline con la foglia d'oro siano state trattate mediante cupellazione allo scopo di recuperare l'oro.

Le pietre di paragone

Le ricerche archeologiche presso Aiano-Torraccia di Chiusi hanno riportato in luce anche due esemplari, uno integro, l’altro frammentario, di pietre di paragone. Si tratta di tavolette di pietra silicatica di forma rettangolare – quella meglio conservata di cm 10,5 x 7,5 ca. – a bordi smussati e tagliati obliquamente. L’esame al microscopio ha mostrato che si tratta, nel caso della tavoletta integra, di uno scisto grigio scuro a grana fine (ardesia), mentre il frammento di pietra di paragone è  invece di una pietra metamorfica a grana fine, ricca di mica e possibilmente smectite, muscovite e quarzo. Ambedue i litotipi sono perfetti per quest’uso. Gli oggetti in oro  di cui si voleva determinare la lega ed il grado di purezza venivano strofinati sulla superficie e le tracce lasciate venivano confrontate con quelle di leghe d'oro di diversa purezza e composizione.

Le pietre di paragone sono importanti strumenti usati solamente da orafi abili e specializzati e non certo da artigiani che eseguivano piccole riparazioni.

È importante notare che fino ad ora solo pochi esemplari di pietre di paragone sono stati riconosciuti come strumenti dell'orafo, perché queste lastre di pietra con lati smerigliati sono simili per forma alle tavolette per cosmetici ed unguenti medicinali usati nell’Antichità, anche se solitamente i materiali impiegati erano diversi.

Oggetti in leghe a base di rame

Le analisi degli oggetti e dei frammenti in leghe a base di rame hanno mostrato che si tratta di un gruppo eterogeneo di pezzi di datazioni diverse. La composizione dei vari reperti è spesso riferibile al periodo romano e possibilmente perfino all'età del ferro, ma in molti casi è possibile che la composizione sia dovuta al riciclaggio di materiali più antichi, recuperati e rielaborati nelle officine tardo antiche. Nella maggior parte dei casi si sono identificate leghe quaternarie, ottoni al piombo e ottoni, ma non mancano oggetti in rame non alligato e in bronzo.


Alessandra Giumlia-Mair (AGM Archeonanalisi, Merano (BZ))

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