Nel corso dello scavo 2008, sotto un crollo nel vestibolo d’accesso alla sala triabsidata, è stata scavata una fornace per la lavorazione del vetro.
La base della fornace è una tegola romana di grandi dimensioni su cui sono state trovate in situ le ceneri e i resti della copertura in argilla. Le pareti sono in pezzame litico e frammenti di tegole. La copertura in argilla era in origine sostenuta da bacchette, bruciate durante l'uso, ma di cui sono rimaste le impronte nei frammenti di argilla. Per rendere la copertura più resistente al calore, sono stati usati frammenti di gusci di chiocciole, ben evidenti nell'impasto. In tal modo il materiale diventa porosa durante la cottura. Un gruppo di gusci di chiocciole, evidentemente raccolti a questo scopo, sono stati trovati anche in un angolo dello stesso vano. La base, i resti di parete ed i frammenti permettono di ricostruire nei dettagli la struttura.
La fornace è del tipo impiegato per fondere e rielaborare rottami di vetro, non una fornace per la produzione del vetro eseguita partendo dagli ingredienti di base, e ricorda da vicino la descrizione della fornace per la ricottura di lastre di vetro, fornita da Theophilus Presbyter, nel suo trattato “De Diversis Artibus”, (inizi del XII sec.). Nel vestibolo sono stati individuati due bacini per l'acqua, connessi al sistema idrico mediante piccole canalizzazioni. Il flusso dell'acqua era regolato inserendo o togliendo un frammento di tegola posto all'imboccatura della canaletta.
Il muro alle spalle della fornace è notevolmente alterato dalla prolungata esposizione al calore e, nello stesso vano, si notano anche altri settori murari con simili lesioni. Non essendo prodotte in materiali refrattari, fornaci di questo tipo non avevano una lunga durata e dovevano spesso essere rifatte completamente. È dunque possibile che nello stesso ambiente siano esistite in precedenza altre simili fornaci in altre posizioni, come nel caso della forgia del fabbro ferraio. Le piccole dimensioni permettevano di controllare più facilmente l'atmosfera riducente o ossidante, a seconda del tipo di vetro in lavorazione.
Nelle immediate vicinanze della fornace sono comparsi i frammenti di un contenitore forato, fortemente annerito all'interno e dotato di un labbro svasato. Si tratta certamente del braciere per carbonella su cui gli artigiani del vetro elaboravano i loro manufatti, dopo aver fatto fondere le tessere vitree recuperate dai vani rappresentativi della villa in rovina. Immagini di simili recipienti forati, adibiti a questo uso, sono noti da rappresentazioni di officine medievali ed anche più tarde. I fori servivano all'apporto d'aria attraverso mantici e quindi a mantenere stabile l'atmosfera richiesta dalla particolare lavorazione in atto al di sopra del braciere.
All'esterno della fornace si sono rinvenuti frammenti di vetro e numerose tessere da mosaico, mentre da altre aree dello scavo provengono resti di colature di vetro in colori diversi e vaghi da collana di varie misure e colore. I residui di lavorazione del vetro e le colature sembrano provenire da varie fasi del riciclaggio delle tessere e vanno dai grumi di cemento alterato dal calore, che inglobano ancora le tessere in vetro, a grumi informi di vetro opaco e di colorazione incerta, a colate di vetro di colore brillante fino a gocce di vetro che sembrano essere vaghi non riusciti.
Alessandra Giumlia-Mair (AGM Archeonanalisi, Merano (BZ))